Criptofonini, social media, finanza clandestina. Come le organizzazioni criminali italiane sfruttano la tecnologia in Svizzera
Prefazione di Andrea Maria Balerna
Con i contributi di Emanuele Stauffer, Stefano Stillitano e Nicolas Tagliabue
Formato 15 x 22, 208 pagine con illustrazioni a colori
Dai riti secolari ai cyberspazi, dalla carne di capra agli algoritmi più complessi. In un misto di modernità e tradizione, le mafie italiane hanno imparato a sfruttare la tecnologia. La usano sistematicamente per comunicare in segretezza, così come prima ricorrevano ai linguaggi che Tommaso Buscetta definiva “omertosi”. EncroChat, SkyEcc, No1BC. I telefonini criptati sono diventati i ferri del mestiere. Tanto da costituire ormai una caratteristica essenziale dei clan odierni.
Abili nel nascondersi, le cosche mafiose si dimostrano al contempo altrettanto capaci di manifestarsi. Il mondo digitale dei social network è considerato alla stregua di un territorio fisico. La tastiera sostituisce la pistola, per ostentare potere e raccogliere consensi.
Un’autonarrazione improntata sui canoni dell’estetica criminale: dalle Ferrari agli abiti firmati, dai locali esclusivi alle banconote svolazzanti.
Reale e virtuale. Due dimensioni sempre più legate anche nell’ambito della finanza. Le innovazioni tecnologiche hanno offerto opportunità straordinarie, che le consorterie non si sono certo lasciate sfuggire.
Con l’aiuto di hacker e di faccendieri del sottobosco bancario, hanno cominciato a utilizzare strumenti di ogni genere. Incluse le criptovalute: un mezzo ideale per riciclare denaro, come più enti (nazionali e internazionali) sottolineano da anni.
E la Svizzera? Cosa c’entra in tutto questo? C’entra eccome. Gli atti delle inchieste, condotte in Italia e nella Confederazione, stanno lì a dimostrarlo. “Helvetia”, “Imponimento”, “Cavalli di Razza”, “Glicine-Acheronte”. Sono solo alcune delle indagini che portano dritto verso il nostro Paese.